Violino Giuseppe Guarneri “del Gesù”
“ex Brusilow” Cremona 1743

Nella breve carriera liutaria di Giuseppe Bartolomeo Guarneri, a noi nota tra la fine degli anni Venti del Settecento e il 1744, anno della sua morte, l’ultimo periodo è il più affascinante ed enigmatico. I violini prodotti a partire dagli anni Quaranta rivelano una particolare relazione tra intuizione, creatività e una complessa e forse sofferente interiorità dell’artefice: condizioni queste che condussero il Guarneri ad esiti sorprendenti non solo per noi, ma fors’anche per i suoi contemporanei. Le cause e le ragioni rimarranno probabilmente oscure: a partire dai primi violini etichettati all’inizio degli anni Trenta, segnati da un’attitudine quasi classicista dalle suggestioni stradivariane, si assiste ad una rapida evoluzione dello stile che portò Giuseppe Bartolomeo alla svolta radicale degli ultimi anni, svolta contrassegnata da una irruenta individualità, dal forte aspetto espressionista. Considerare quest’attitudine quale unico risultato di un animo tormentato e di una selvaggia genialità risulta tuttavia, in mancanza di notizie certe sugli ultimi atti della sua vita, storicamente poco corretto e soprattutto riduttivo per il suo artefice. Questa svolta stilistica e funzionale ebbe diverse ragioni, una delle quali forse identificabile con la morte di Antonio Stradivari, occorsa nel 1737, che certamente ebbe un forte effetto nell’ambiente liutario cremonese: una morte che introdusse la fine della grande tradizione cittadina. Furono questi anni di grandi cambiamenti in Italia e in Europa che possiamo così brevemente riassumere: l’era barocca con le committenze delle corti aristocratiche era ormai giunta al suo epilogo l’Italia, a causa delle Guerre di Successione, divenne dopo più di un secolo nuovamente campo di battaglia nel quale giunsero a scontrarsi gli eserciti francesi e austriaci nonostante l’occupazione militare la qualità media della vita nell’Italia settentrionale tendeva a migliorare l’ambiente culturale lombardo e milanese in particolare si dimostrava estremamente ricetti vo alle nuove idee illuministiche che giungevano dalla Francia la funzione della musica cessa di essere solo encomiastica o liturgica, un nuovo mercato della musica prospera a Venezia, Milano, Napoli e altre città una nuova generazione di musicisti professionisti necessita di strumenti dal suono più pieno e ricco, che possa riempire le ampie e rumorose sale dei teatri. Le ricerche di Giuseppe Guarneri corsero in quest’ultima direzione: i suoi clienti furono con ogni probabilità violinisti professionisti in cerca di un suono potente, di un’efficace macchina sonora, nella quale nessuna decorazione veniva richiesta e forse, un tocco di bizzarria persino apprezzato. L’approccio tecnicoliutario di Giuseppe Bartolomeo si rivela quindi pragmatico e sorprendentemente razionalista: se da un lato dimostra un certo disinteresse per gli aspetti estetici formali della tradizione, dall’altro si rivela estremamente preciso e curato nella scultura delle bombature, nel pianificare la spessorazione dei piani armonici, nel posizionare le effe di risonanza, nello sperimentare diverse lunghezze di corda vibrante. Non fu forse l’unico innovatore italiano, ma mentre la maggior parte dei liutai era intenta ad interpretare modelli steineriani allora di gran moda, il nostro (così come Giovanni Battista Guadagnini) lo fece a modo proprio, senza mediazioni. Per questo motivo, pur con tutte le sue contraddizioni, Giuseppe Guarneri “del Gesù” cavalcava la modernità: nello sperimentare un tipo di “motore” nuovo per i suoi violini, egli recupera una vecchia forma cremonese della famiglia Amati, utilizza dell’acero meraviglioso e una vernice dalla pasta sontuosa e dall’accesa colorazione: e di certo suona a noi quasi beffardo il costante richiamo nei suoi ultimi violini alla liuteria di Brescia, l’eterna rivale di Cremona. Secondo la certificazione che accompagna questo splendido violino, esso venne costruito tra il 1742 e il 1743. Nulla si sa della sua vita fino ai primi anni Trenta del Novecento, allorché la ditta J. & A. Beare ne certificò l’originalità e la proprietà a un certo Mr. Courbin di New York. Da allora lo strumento è rimasto accasato negli Stati Uniti: acquistato dal filantropo Theodore Pitcairn nel secondo Dopoguerra, il violino venne prestato al talentuoso violinista di origine russa Anshel Brusilow, Primo Violino di Spalla della Philadelphia Orchestra, che lo tenne a tutto il 1968. Sebbene lo strumento rechi le tracce di un’intensa vita lavorativa, il suo aspetto appare oggi comunque sorprendentemente sano (pochissime sono le rotture) e tonico nelle condizioni conservative strutturali. L’interno della cassa appare ben conservato e, nonostante la mancanza dei tasselli di testa, esso mostra tutte le tracce più tipiche del lavoro di Giuseppe Guarneri. I tasselli centrali in abete furono lavorati con veloci colpi di sgorbia e terminati a taglio, senza alcuna ulteriore finitura, e le controfasce, anch’esse in abete, vi furono saldamente inserite. Varie sono le tracce a testimoniare una lavorazione veloce e diretta: la fascia della “C” (lato Mi) risulta profondamente crepata, e profondi sono i segni dei denti della pialla, visibili in alcu ni punti anche all’esterno; altre tracce furono lasciate dalla sgorbia sull’interno delle fasce durante l’assottigliamento delle controfasce. In generale tutta la preparazione delle fasce venne eseguita con veloce noncuranza: oltre ai segni all’esterno di ustioni prodotte dal calore del ferro, si notano altre piccole fratture e una disposizione delle fiamme dell’acero volontariamente casuale. Eccellente la qualità dell’acero impiegato, dalla marezzatura ampia, forte e profondissima che esalta la scultura del fondo: quale conseguenza di un deciso lavoro di rasiera condotto in senso longitudinale, le fiamme dell’acero si alzano e si abbassano creando così una mobilità che enfatizza l’alta voluta della bombatura e il suo scendere garbato verso i bordi. Più curato il piano armonico, meno segnato dagli attrezzi da lavoro e finito questa volta con bella cura, secondo un’impostazione che potremmo definire quasi bresciana. Ciò che fortemente attrae in questo meraviglioso violino è un potentissimo senso di scultorea tridimensionalità, che porta l’osservatore all’irresistibile tentazione di toccarne la superficie, di sentirne il suo imprevedibile sviluppo con il leggero scorrere delle dita. La sguscia del fondo ad esempio, ancora rivela il percorso della sgorbia, definito da gobbe e avvallamenti, terminato con un vigoroso raccordo di rasiera lungo la vena, che ne esalta l’irregolarità dello sviluppo. Altri segni evidenti sono piccoli tagli di coltello a fianco del filetto, e soprattutto quelli lungo il percorso del bordo e delle punte che ne rendono particolarmente tattile l’andamento. Nonostante questa manifestazione di gestualità diretta, la bordatura del violino, vista da giusta distanza, riacquista una sua bilanciata eleganza che si esprime in un efficace e curato raccordo con la bombatura. Se l’ultimo periodo di Guarneri è contraddistinto da una certa durezza del disegno e della scultura, soprattutto nelle effe e nei riccioli, in questo caso ci troviamo ad ammirare nei fori armonici una linea che, sebbene mostri la consueta asimmetrica individualità, si porta verso una sensibilità più classica e quasi elegante, anche in questo caso dalla suggestione bresciana. Sistemati simmetricamente rispetto alla giunta, i fori superiori risultano non perfettamente allineati, in particolare quello del “Mi” che giace circa un millimetro più basso rispetto al suo corrispondente: l’andamento diviene così asimmetrico scendendo verso il basso, dove troviamo i fori inferiori eccentrici rispetto sia alla giunta che al bordo esterno. La sensazione è che la tracciatura non fu eseguita con modelli di effe interi come quelli stradivariani, ma da semimodelli che potevano essere utilizzati con maggiore libertà. Di particolare effetto nella lavorazione delle effe è la sgusciatura delle palette che, iniziata a sgorbia e rasiera, venne conclusa con una decisa azione abrasiva che ha interessato tutta la tavola armonica. Il pezzo di acero da cui venne estratta la testa dovette essere di stretta misura se, come evidente dalla vista frontale, il Guarneri ebbe ad aggiungere due piccoli pezzi per raggiungere un’adeguata larghezza. Stretto quindi nella visione frontale, il ricciolo si sviluppa nei suoi percorsi laterali con grazia e persino con una certa morbidezza di scultura che, in questo caso, nasconde efficacemente i segni della sgorbia. Non è dato sapere se Giuseppe Guarneri facesse uso di modelli, ma lo sviluppo dei giri, eseguiti con spontanea immediatezza, sembra allontanare questa ipotesi: guardando la testa dall’alto è evidente l’andamento fuori asse della chiocciola che alterna zone soprasquadra ad altre sottosquadra, in un alternarsi di pienivuoti, di piacevole imprevedibilità. La scultura dei giri inizia con una sgusciatura laterale piuttosto forte e decisa, eseguita con una sgorbia ben curva, e si approfondisce con lo scorrere della chiocciola fino all’occhio; lo smusso, tagliato a scalpello, venne ripassato con un garbato lavoro di arrotondamento che ne ha ingentilito l’aspetto. La vernice che ricopre i violini di ultima produzione di Guarneri “del Gesù” risulta oggi estremamente differenziata per spessore, tessitura e colorazione: dal giallo tenue e dorato dell’Alard del 1742 alla forte pigmentazione e al ricco spessore del Cannone del 1743, si assiste ad un repertorio dalle varie soluzioni cromatiche e materiche. Nonostante l’intensa usura che ha parzialmente velato la bellezza del sottofondo nella parte inferiore del fondo, il Brusilow risulta oggi vestito di una leggera e trasparentissima vernice dalla morbida tessitura: in alcuni punti, soprattutto sul ricciolo e sulle CC del fondo, nelle lacune prodotte dalla rasiera, appare una minuta e fitta craquelure, forse occorsa quando il violino era ancora giovane. La colorazione arancio chiaro enfatizza il sottofondo che, setoso e profondo, rilancia verso lo sguardo dell’osservatore un’indimenticabile sensazione di brillante tridimensionalità.

GIUSEPPE BARTOLOMEO GUARNERI “DEL NOME DI GESÙ”

Così come molti altri violini di Giuseppe Bartolomeo, anche questo esemplare è privo del cartiglio d’origine, sostituito da una copia di buona qualità: non manca ovviamente il trigramma cristologico che ha dato origine all’ormai famoso nomignolo con il quale il liutaio da due secoli viene identificato. In un prezioso contributo al catalogo della mostra dedicata al bicentenario della famiglia Guarneri celebrato a Cremona nel 1998, don Andrea Foglia (oggi direttore dell’Archivio Storico Diocesano) affrontò con efficacia l’analisi iconologica del cartiglio, dimostrando quanto il Cristogramma sia da riferirsi alla predicazione di San Bernardino a Cremona piuttosto che all’insegna dei Gesuiti. Da un punto di vista rigorosamente storico, un eventuale patronato da parte dei seguaci della Compagnia di Gesù non può essere considerato, dato (come indicato da Foglia) che nei collegi cremonesi dell’Ordine, saldamente allineati ai dettami controriformisti tridentini, non venivano consentite attività mondane quali la musica, lecite invece in ambito aristocratico. Peraltro, da un punto di vista iconografico, il trigramma cristologico dei Gesuiti presenta alcune fondamentali differenze da quello del liutaio, quali la croce latina e la presenza di tre chiodi ordinatamente disposti alla base, simbolo della passione del Salvatore. Maggiore invece è la relazione con la ruota bernardiniana, scandita anch’essa da una raggiera solare, entro la quale il trigramma viene immesso in una croce greca. Della predicazione del frate minore nella Cremona quattrocentesca sono rimaste numerose tracce: il simbolo con il quale il grande predicatore era solito sostenere le proprie orazioni divenne motivo comune in innumerevoli formelle, in marmo, legno o terracotta, che andarono ad ornare edifici e portali, e divenne un marchio usato da artigiani e commercianti. Identico tra loro invece il messaggio contenuto. Il trigramma, composto dalle prime lettere del nome di Gesù nell’alfabeto greco (poi latinizzato nel medioevo in Jesus Hominum Salvator per renderlo più comprensibile ai fedeli) evoca il Nome di Gesù in tutta la sua potenza divina, ontologica e teurgica. Il nome è quindi portatore di salvezza, è protezione invocata contro il Male, è suono, è manifestazione trascendentale del Logos, quello stesso Logos che introduce il Vangelo di Giovanni. Alla luce di queste considerazioni il nomignolo attribuito probabilmente dagli antiquari parigini già all’epoca di Paganini, risulta incompleto o quantomeno troppo generico. Piuttosto che “del Gesù”, Giuseppe Bartolomeo Guarneri dovrebbe più correttamente essere appellato “del Nome di Gesù”.

MISURE PRINCIPALI DELLO STRUMENTO

Lunghezza del fondo: 352,8 mm
Larghezza massima superiore: 165 mm
Larghezza centrale: 109,4 mm
Larghezza massima inferiore: 204,6 mm
Diapason: 193 mm

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