Augusto Pollastri, Bologna 1877-1927 – Violoncello, circa 1908
Nell’ambito del secondo ottocento italiano la bottega di Raffaele Fiorini (1828-1898) ebbe un ruolo fondamentale nella ripresa dell’attività costruttiva e nel rinnovamento stilistico liutario; uomo dal carattere forte e risoluto, nell’arco di circa trent’anni di attività in Bologna ebbe alle sue dipendenze, oltre al figlio Giuseppe, i fratelli Oreste e Cesare Candi, quindi Armando Monterumici e Augusto Pollastri: questi, rimasto orfano di padre, venne dal Fiorini assunto nel 1894 come aiutante.
A tutt’oggi non abbiamo informazioni precise circa il suo periodo di apprendistato: sappiamo che le condizioni di lavoro in un bottega artigiana nell’ottocento erano dure, lo stesso Cesare Candi ce ne dà conferma nel suo carteggio privato; tutti gli allievi di Raffaele Fiorini furono comunque in grado di rendersi indipendenti rapidamente.
Augusto Pollastri già dalla fine del secolo, conseguentemente alla morte del maestro, divenne un punto di riferimento importante nella vita musicale cittadina sia come costruttore di strumenti ad arco, sia come restauratore; successivamente ottenne la prima commessa importante della sua carriera, la costruzione di un quartetto d’archi per la scuola di musica.
Nonostante l’intera vita professionale di Pollastri si sia svolta unicamente in Bologna, la stima di cui godette varcò i confini nazionali, ottenendo riconoscimenti all’estero (esposizione di Ginevra, 1927) e apprezzamenti da parte di famosi violinisti tra i quali si ricorda Pablo de Sarasate, suo sincero ed entusiasta ammiratore.
Il catalogo delle sue opere è ristretto, causa forse anche l’attività di restauratore e commerciante esperto di violini antichi: è certo che abbia costruito solamente 64 strumenti tra i quali 55 violini, 5 viole e 5 violoncelli.
Durante i primi sette/otto anni di attività sperimentò per i suoi strumenti idee e stili alquanto differenti: Eric Blot parla nel primo volume di ‘Un secolo di liuteria italiana’ dedicato alla liuteria dell’Emilia Romagna, di alcuni strumenti in stile torinese (che vennero presto rinnegati dall’autore che ne tolse l’etichetta); a questi seguì un’altra breve serie forse ispirata a Maggini e a partire dal 1906/7 incontriamo finalmente strumenti disegnati di suo pugno, oggi inconfondibili.
Il violoncello qui presentato appartiene a questo periodo ed è testimone di quelle caratteristiche acustiche che si incontrano abitualmente nelle opere di Augusto Pollastri: eleganza del timbro, equilibrio tra le corde, facilità nell’erogare una potenza sonora che consente di riempire la sala con facilità.
Il cello, per motivi oggi ignoti, fu successivamente etichettato e datato; porta il cartiglio ispirato a quello del Santo Serafino con la dicitura ‘Rapahelis Fiorini alumnus’ ed è privo del famoso marchio a fuoco con i due polli che si beccano, introdotto a partire dal 1910 circa e successivamente usato dal fratello Gaetano dopo la morte di Augusto: un solo marchio a fuoco condiviso dai due fratelli per tutta la loro vita lavorativa.
All’interno, in una fascia inferiore, si scorge la piccolissima firma di Anselmo Gotti che ebbe negli anni quaranta lo strumento in riparazione; la costruzione interna mostra ampi tasselli in abete e controfasce in salice appoggiate con precisione ai tasselli centrali; l’acero delle fasce e del bellissimo pezzo unico del fondo è di taglio subtangenziale, la tavola a vena irregolare è composta da quattro pezzi giuntati tra loro.
La sicurezza generale della scultura delle bombarture, del taglio delle effe con l’occhio superiore sapientemente smussato, della testa potente ed elegante rivelano un Augusto già consapevole e maturo, erede e rinnovatore della scuola del Fiorini, figura di riferimento ormai riconosciuta nella sua città (va ricordato che Giuseppe, il figlio di Raffaele, per scelta aveva da tempo lasciato Bologna e lavorava con successo in Germania).
In Augusto Pollastri l’eredità di Fiorini si scorge da un punto di vista tecnico per l’uso costante e fedele della forma esterna con la quale costruì tutti i suoi strumenti, e da un punto di vista stilistico per l’esigenza di esprimere la propria personalità attraverso la creazione di un modello unico e inconfondibile: lo stesso spirito lo troviamo, seppure realizzato con stile e sensibilità assai differenti anche nel precedente allievo di Raffaele Fiorini, quel Cesare Candi che ormai da anni si era trasferito a Genova e in altri liutai dell’ambito bolognese quali ad esempio Nicola Utili.
Augusto Pollastri seppe meglio di altri coniugare nel suo lavoro il gusto e la conoscenza della liuteria classica con questa ricerca di individualità che sarà fondamentale per lo sviluppo della liuteria bolognese moderna: nei suoi strumenti colpisce l’armonia che collega ogni fase di lavoro e ogni singolo gesto, quali ad esempio il gusto con cui arrotonda il bordo della testa e come questo stesso si raccordi con la piega dei bordi della cassa armonica che, forte ed elegante, non risulta mai pesante o leziosa. La bellezza dei legni impiegati viene sempre evidenziata da un sottofondo forte e rifrangente, coperto da una vernice ad olio densa, profonda e luminosa che possiamo considerare tra le più belle dell’età moderna; in questo esemplare il sottofondo è meno aggressivo rispetto all’ultimo periodo, la colorazione delicata e la superfice lascia ancora intravvedere i segni del pennello.
Così come i liutai italiani del periodo classico i quali non operavano mai fasi di lavoro superflue, Pollastri verniciò sempre con la tastiera incollata al manico dello strumento, rinunciando intenzionalmente ad un risultato finale eccessivamente ‘perfetto’ e finito, evitando levigatura e polishing superflui: la naturale morbidezza della vernice e la sua caratteristica a ossidare lentamente hanno consentito alla colofonia e alla patina di penetrare leggermente negli anni, creando una velatura naturale di grande bellezza.
La somma di questi particolari spiega il successo estetico della liuteria di Augusto Pollastri, sempre in equilibrio tra il rispetto degli insegnamenti ricevuti e il perseguimento della sua propria creatività. Il suo strumento ‘nuovo’, fresco di bottega, non voleva essere nè una copia che riproduce artificialmente l’antico, nè un prodotto finito eccessivamente lucidato: questa mediazione di gusto ancora ottocentesco, questo livello intermedio cercato e realizzato con sensibilità e consapevolezza della tradizione nazionale e locale, deve rappresentare ancora oggi un modello e un obiettivo per la nostra liuteria contemporanea.