Violino Carlo Giuseppe Oddone Torino 1898
Quella vissuta dalla Torino umbertina fu una stagione particolarmente affascinante, una stagione che vide la città volgersi con successo verso una nuova idea di rinnovamento e di modernità. Palcoscenico privilegiato furono le Esposizioni Universali del 1884 e del 1898 che introdussero Torino ad un pubblico internazionale; una nuova classe imprenditoriale alto borghese si rese protagonista di un forte sviluppo dell’industria pesante che portò all’apertura degli stabilimenti di Fiat e Lancia per la costruzione delle prime automobili a motore a scoppio. Sul fronte opposto assistiamo alla nascita delle associazioni operaie, dei circoli socialisti ed anarchici, di circoli intellettuali ed artistici. Una città Torino che, ancora sulla scorta dell’idea di cittàgiardino, riuscì a portarsi verso uno sviluppo urbanistico realizzato in nuovi grandi viali porticati, in spazi verdi pubblici, in nuove architetture di ispirazione eclettica, floreale e modernista che, con garbo, andarono ad armonizzarsi con la grande tradizione barocca, neoclassica e classicista. Torino, una città forte di una lunga tradizione artistica e musicale e, per quanto ci interessa, anche di una solida tradizione di artigianato artistico, di ebanisteria soprattutto e, in conseguenza, di liutai. Quando nel 1898, nel culmine di questo scorcio di secolo, Carlo Giuseppe Oddone costruì il violino oggetto di queste pagine, aveva da poco passato la trentina e da pochi anni iniziato l’attività in proprio. Poco ci è giunto riguardo la sua infanzia: nacque a Torino nel 1866 e presto fu mandato a bottega come garzone alle dipendenze della ditta di Benedetto Gioffredo, socio del suocero Teobaldo Rinaldi, che in quegli anni riusciva con un certo successo ad opporre resistenza alla posizione dominante in città di Antonio Guadagnini. Un’attività quella dei Rinaldi che potremmo definire multitasking: si occupavano della riparazione e vendita di strumenti antichi che potevano reperire in città, avevano buone relazioni con i negozi parigini, vendevano corde e accessori, costruivano occasionalmente strumenti del quartetto avvalendosi di vari collaboratori, tra i quali va segnalato Enrico Marchetti. Un ambiente quello liutario torinese dell’ultimo Ottocento vivo e in crescita, dal momento che possiamo ricordare la presenza attiva di altri artefici quali Annibale Fagnola, i fratelli Enrico e Pietro Melegari e quindi Francesco e Giuseppe Guadagnini, successori di Antonio, a partire dal 1881. Oddone rimase circa dieci anni alle dipendenze di Benedetto GioffredoRinaldi allorché nel 1889, poco dopo la morte del titolare, decise di recarsi a Londra per migliorare le sue competenze, trovando impiego presso Frederick William Chanot, con cui i Rinaldi erano da tempo in contatto. L’esperienza londinese sarà determinante per Carlo Giuseppe, il quale non solo riesce a perfezionarsi nel restauro, ma ha inoltre l’opportunità di studiare la liuteria classica italiana e divenirne buon conoscitore, di apprendere un nuovo approccio alla gestione del laboratorio, più dinamico e organizzato, e infine di affinare la propria tecnica nella costruzione degli strumenti ad arco: quando nel 1892 torna nella sua città è ormai un liutaio d’esperienza, aggiornato alle novità internazionali, pronto ad inserirsi nel non facile mercato torinese. Dai suoi taccuini, provvidenzialmente giunti fino a noi, riusciamo a tracciare con precisione i percorsi della sua produzione: a quanto pare nel 1898, anno di costruzione di questo affascinante violino, Oddone ha acquisito una clientela di spicco, vende strumenti a noti amatori e professionisti quali l’avvocato Ruggiero, il Conte Viglietti, il Maestro Scati; sempre nello stesso anno presenta un quartetto all’Esposizione Internazionale, provvede il Liceo Musicale di una viola e un violoncello. Uomo meticoloso e attento, Oddone annotò con precisione per tutta la sua carriera gli strumenti costruiti e i nomi degli acquirenti, i modelli usati e persino le ricette della vernice. La carriera di Oddone, se eccettuiamo un breve e non fortunato ritorno a Londra a seguito della proposta di certo Carlo Andreoli per aprire un negoziolaboratorio in Oxford Street, si svolse interamente a Torino nel suo laboratorio al numero uno di Via Maria Vittoria; se, forse a causa della predominante richiesta di riparazioni e messe a punto, la sua produzione del primo decennio del nuovo secolo è poco cospicua, a partire dalla fine della Prima Guerra Mondiale annotiamo un’impennata significativa: sono questi anni di grande lavoro per la bottega, Oddone costruisce con grande regolarità coadiuvato dal giovane Evasio Emilio Guerra, intento ad impostare il lavoro di costruzione; questo lungo percorso lavorativo termina nel 1935 con il violino numero 269, ultimo costruito appena prima della morte. Nell’arco di oltre quarant’anni di lavoro, la forte personalità di Oddone si impone per solida individualità, per capacità organizzativa, per competenza nella liuteria antica e nella gestione degli affari; da un punto di vista strettamente stilistico Oddone opera un considerevole cambiamento nella liuteria torinese: è il primo liutaio a non ritenere irrinunciabili i modelli di Gio. Francesco Pressenda e Giuseppe Rocca, e pur tenendosi vicino alla loro sensibilità, si volge verso un gusto più internazionale, emancipando a suo modo la tradizione cittadina. Fece uso di modelli Guarneri e Stradivari e più raramente (a quanto risulta dai taccuini) Guadagnini, tutti interpretati secondo la propria sensibilità, senza alcun particolare desiderio di aderenza storica e stilistica verso gli originali: strumenti fieramente costruiti e finiti affinché si distinguessero come suo proprio personale lavoro. Uno stile quello di Oddone che si sviluppa e matura in maniera costante e scrupolosa, in un naturale fluire dai primi strumenti, testimoni della forte influenza di Chanot, dotati di una bella vernice morbida e dolcemente colorata, fino gli strumenti dell’ultimo periodo, con il loro caratteristico color giallo arancio chiaro: questa lunga serie di strumenti, violini, viole e violoncelli, rivela sempre un tratto unico, inconfondibile e forse soprattutto onesto, privo di malizie, sempre sincero nel modo di presentarsi all’osservatore, da vero gentiluomo piemontese, quale Oddone fu. L’etichetta all’interno del violino, un tempo considerata dubbia, appare oggi ad un’attenta osservazione originale: imbruttita da una sporcatura nerastra ai lati, porta la scritta autografa dell’anno e tracce della numerazione, da identificarsi probabilmente con il numero di produzione 21. Tratto da un modello Stradivari, il violino presenta già le principali caratteristiche stilistiche di Carlo Oddone, che provvide a disegnarne la forma di suo pugno; la costruzione interna è in abete, con ampi tasselli, controfasce sempre in abete, il tutto lavorato con impeccabile maestria: all’interno sui tasselli superiore ed inferiore e sulla giunta esterna della fasce compare il marchio a fuoco con il nome e la città scritti in un ovale che va a circoscrivere il bottone del violino. Belle le bombature che piene e ben arrotondate in centro, scendono magre fino ai bordi, abbassandosi sensibilmente verso il filetto; la bordatura viene resa solida alla vista grazie ad un filetto incassato piuttosto distante dal bordo, dotato di punte brevissime che creano un particolarissimo contorno della punta, rivelatore di un debito acquisito, più che con Giuseppe Rocca, con la liuteria di F.W. Chanot. Anche le effe di risonanza mostrano la particolare individualità di Oddone, che interpreta un modello Stradivari con un suo proprio disegno, caratteristico per la tipica chiusura degli occhi superiori, dalle palette ampie e le curve leggermente introflesse, e il delicato smusso sul bordo che ne rivela il particolare gusto antiquario. Bella la testa, dalla scultura potente e decisa, dalla sguscia che parte piatta dalle ganasce e si conduce piena fino al secondo giro in cui prende profondità, chiudendosi in bella maniera sull’occhio; la vista frontale presenta un ventaglio particolarmente accentuato dei giri, una sguscia affilata e precisa, una cassetta solida dalle ganasce piene: nonostante una certa rigidità nell’impostazione, l’effetto visivo è notevole per profondità e movimento, per mobilità delle linee e in generale per una scultura autorevole. Della vernice Carlo Oddone ci lascia dettagliate informazioni: preparata in base alcolica e ammorbidita da balsami e olii essenziali, veniva pazientemente cotta a bagnomaria, quindi stesa sopra un sottofondo di grande bellezza, per la luce naturale che emana: un sottofondo privo di eccessiva ossidazione, efficacissimo nel porgere alla vista l’intensità delle fiamme dell’acero e delle fibre dell’abete. Questa accorta formulazione, che rese la vernice morbida e duttile per lungo tempo, unita all’intensissima vita lavorativa che questo strumento ha affrontato nel corso della sua più che centenaria esistenza (tra cui si narra di una precipitosa fuga insieme al suo affezionatissimo proprietario, dalle bombe che nel febbraio del 1941 piovvero copiose su Genova), hanno generato un particolarissimo effetto di consunzione, che ne ha arricchito l’immagine, con un senso di antica classicità.
MISURE PRINCIPALI DELLO STRUMENTO
Lunghezza del fondo: 356 mm Larghezza massima superiore: 168 mm Larghezza centrale: 108,5 mm Larghezza massima inferiore: 208 mm Diapason: 195