Tra i ricordi che Carlo Nardi, avvocato genovese, raccolse in un’intervista a Cesare Candi poco prima della sua scomparsa, spiccano le immagini narrate della bottega bolognese di Raffaele Fiorini nella quale, appena adolescente, Cesare aveva compiuto il primo apprendistato. Il breve racconto si incentra sulla durezza della vita e sui modi rudi del maestro, sulla fatica di un lavoro poco retribuito a causa del quale i due fratelli Candi decisero di abbandonare la loro città natale, tentando la sorte in quella Genova che, alla fine degli anni Ottanta dell’Ottocento, viveva una discreta ripresa economica e musicale.
Preceduto qualche anno prima dal fratello Oreste, Cesare giunse a Genova nel 1889 circa, avendo trovato impiego nella piccola fabbrica di strumenti a plettro ‘Fratelli Barberis’ situata nel centro residenziale della città, a fianco della sala da concerto da poco aperta intitolata a Camillo Sivori. Fu proprio il grande violinista allievo di Niccolò Paganini, membro della giuria all’Esposizione Italo-Americana del 1892, ad incoraggiare il giovane Candi a iniziare l’attività in proprio, avendo ammirato un suo strumento decorato di particolare effetto. La vita professionale di Candi si svolse sempre all’interno delle mura medievali cittadine: dal primo laboratorio aperto in un modesto appartamento in Salita del Prione, vicino alla porta di Sant’Andrea, ad un altro condiviso con Oreste in via dei Servi (i due solo rarissimamente firmarono insieme strumenti) fino alla sua sistemazione definitiva in via di Porta Soprana; Cesare Candi mise profonde radici nel tessuto sociale urbano e il genovese divenne la sua lingua quotidiana.
Con l’inizio del nuovo secolo la sua carriera ebbe una significativa accelerazione dovuta ai premi conseguiti alle esposizioni di Milano (1906) e Bologna (1907), iniziarono a giungere le commesse dall’estero e in generale ricevette il riconoscimento da parte di musicisti e collezionisti.
Tra i momenti più significativi della sua carriera si vuole ricordare il restauro del ‘Cannone’ di Niccolò Paganini, il Guarneri ‘del Gesù’ del 1743, avvenuto nel 1937, per il quale ricevette il plauso generale a Cremona nelle celebrazioni stradivariane.
Uomo dedito alla famiglia e al lavoro, aveva l’aspirazione di lavorare fino all’ultimo: il nipote Corrado Gritti ricorda come, ormai anziano, brandisse talvolta il suo scalpello, sentenziando con il suo contagioso entusiasmo: ‘mundu, t’ho travaggiou!’ (mondo, ti ho lavorato!).
Cesare Candi terminò la sua vita nel proprio laboratorio il 29 Settembre del 1947.
Lo stile
Cesare Candi, insieme ad altri liutai della sua generazione, segna con il suo lavoro lo stacco stilistico che si definisce alla fine dell’Ottocento nella liuteria italiana: il violino, a seguito di un nuovo gusto fondato sulla perfezione dell’oggetto di uso comune, viene ormai concepito come scultura priva di difetti, confezionata in modo impeccabile: la tastiera viene staccata per meglio verniciare la tavola, la finitura della vernice inizia ad essere levigata come mai fu in passato. Questo sentimento di rinnovamento è figlio in qualche modo della rivoluzione industriale e delle grandi esposizioni dell’artigianato che uniformarono il gusto europeo nella seconda metà dell’Ottocento, conseguenza stessa di quelle esposizioni nelle quali venivano presentate sculture, oggetti d’arredo, tappezzerie, mobili che oggi definiamo con il termine di ‘Art Nouveau’. In questo senso Cesare Candi è un artista di questo movimento, perché più di ogni altro liutaio suo contemporaneo volle unire al rispetto per la tradizione liutaria italiana quello spirito di rinnovamento entro il quale egli vedeva una nuova modernità; dotato di tecnica unica e di capacità scultoreo-disegnative eccellenti, coltivò una naturale passione per la decorazione, l’intarsio e l’intaglio che lo portarono ad esiti non comuni nella liuteria: a partire dai primi strumenti decorati eseguiti intorno al 1892, fino agli ultimi realizzati nei primi anni Trenta con la collaborazione del suo allievo Giuseppe Lecchi, Candi perseguì questo ideale di bellezza con coerenza e tenacia, volendo anche per gli strumenti del quartetto provvedere sempre a disegni di suo pugno.
Uomo di considerevole carisma e personalità e lavoratore instancabile, riuscì nell’arco della sua lunga carriera, a divenire riferimento imprescindibile per chiunque a Genova volesse cimentarsi nella liuteria: oltre agli allievi diretti quali Paolo De Barbieri, Giuseppe Lecchi e per ultimo il nipote Corrado Gritti che costruì un piccolo gruppo di strumenti nel secondo Dopoguerra, dobbiamo considerare la sua influenza determinante su tutto l’ambiente liutario cittadino, sia per la personale tecnica costruttiva basata sulla controfascia unica, sia per l’uso dei modelli.
Ad un primo periodo giovanile genovese nel quale Candi si dedica principalmente a strumenti a plettro, segue con l’inizio del Novecento, una prima produzione di strumenti ad arco; con la scomparsa di Enrico Rocca avvenuta nel Giugno del 1915, per Cesare Candi si aprono definitivamente le porte del mercato cittadino ed internazionale, grazie soprattutto ad un violino decorato esposto dalle casa Hill di Londra e Wurltizer di New York che destò stupore in tutto l’ambiente. Nella sua produzione, sempre indicata nelle etichette, si contano più di 250 tra violini, viole e violoncelli a cui si aggiungono un numero imprecisato ma consistente di chitarre, mandolini, liuti e altri strumenti a plettro, e gli strumenti decorati sopra citati.
Tra gli ultimi violini costruiti, un bel modello Stradivari venne esposto fuori concorso alla mostra del Bicentenario stradivariano di Cremona del 1937: in quella stessa occasione ebbe gioia di vedere premiato Giuseppe Lecchi per un quartetto, tuttora esposto al museo.
Lo strumento
Costruito nella piena maturità del maestro, lo strumento ebbe come committente il dott. Santacroce, medico, musicista e collezionista, che volle alcuni anni più tardi arricchire la propria galleria con un ‘violoncello d’amore’, strumento di fantasia appositamente creato e realizzato dal Candi con particolare ricchezza di decori e materiali (foglia d’oro, ebano, avorio e tartaruga).
All’interno del violoncello sull’etichetta in alto a destra, si nota il numero di produzione “15”, la firma autografa e i marchi a fuoco “CESARE CANDI-GENOVA” apposti in vari punti della cassa con un ferro particolarmente rovente.
Come sempre in tutta la produzione di Candi, la forma esterna con la quale è stato costruito il violoncello, è stata tracciata dall’autore: sebbene sia evidente l’ispirazione classica nelle linee, lo stile disegnativo è personalissimo e si distingue per l’ampia rotondità della curva inferiore e superiore, che culmina con una nocetta centrata piuttosto alta.
Le misure, comode ed equilibrate nella cassa armonica, rivelano fasce di consistente altezza, così progettate per aumentare la resa sonora delle frequenze medio-basse.
L’interno è rivelatore della particolare tecnica costruttiva di Cesare Candi che ne rende inconfondibili gli strumenti: le ampie controfasce in abete s’impongono sui tasselli centrali e scorrono per tutto il percorso interno incastrandosi solo nei tasselli di testa; questo modo di montare le controfasce, che riflette la sua esperienza di operaio-chitarraio impiegato alla ‘Fratelli Barberis’, rende veloce la costruzione del contorno e impone una particolare solidità alle fasce.
L’acero con il quale è stato scolpito il fondo è di particolare bellezza: ricavato da un blocco unico, mostra marezzature che si dispongono irregolarmente secondo una trama dai riflessi damascati; il peso specifico deve essere piuttosto lieve perché nonostante l’architettura decisa dello strumento, risulta leggero e maneggevole.
Dotato di bombature ben calibrate e scolpite con grande cura, il cello presenta curve morbide, perfettamente simmetriche e prive d’imperfezioni, che vanno a raccordarsi leggere sulla sguscia del bordo; sulla tavola la finitura a rasiera pone in leggera evidenza le fibre dell’abete e il canale del bordo.
L’aspetto della filettatura si intona con la migliore produzione candiana: costruiti con tre strisce di acero in cui prevale il ‘bianco’, mentre il ‘nero’ (di spessore minore) appare di colore marrone-bruno, i filetti sono incastrati con maniacale precisione e presentano punte con lunghi prolungamenti che sfumano gentilmente. Particolare la conformazione della sguscia che culmina con un delicato bordino gentilmente arrotondato.
Tra gli aspetti peculiari delle effe di risonanza, anch’esse di disegno autografo, notiamo le minuscole tacche tagliate dritte perpendicolari ai fusti, lo stretto giro delle palette superiori e la sguscia di quelle inferiori che, finita con cura a rasiera, sottolinea con eleganza la linea della bombatura; caratteristico risulta il taglio dei fusti delle effe tangente alla bombatura che genera un forte effetto sopra-squadra sulle pareti laterali.
La testa, di scultura potente e decisa, è stata ricavata da un bellissimo blocco di acero marezzato e presenta sul manico la tipica finitura di gusto tardo ottocentesco ad inchiostro, che ne fissa enfatizzandole le marezzature; i piroli, che ancora corredano lo strumento, sono in legno di giuggiolo e furono torniti dall’autore: Candi non concepiva l’uso di parti pre-lavorate, era solito apparecchiare i propri strumenti con accessori di suo disegno e di sua realizzazione, volendo così ribadire l’integrità stilistica e progettuale del suo lavoro.
Nei giri laterali della chiocciola si può ammirare la bella linea del contorno di tipo stradivariano, l’esecuzione sicura senza segni di lavorazione con la sguscia che con naturalezza acquista profondità con il progredire dei giri; sul fronte la cassetta dei piroli è impostata con una linea decisa che si raccorda al ventaglio della chiocciola, mentre sul retro l’attenzione viene attratta dal bottone che conclude in basso la testa, tipico dell’autore e della scuola che ha creato a Genova: la rotondità del bottone viene ripensata e scolpita in modo da connettersi con il bordo creando un piacevole effetto di gusto ‘floreale’.
Stesa sopra un delicato sottofondo vegetale a base di zafferano che enfatizza i toni caldi del legno usato, la vernice mantiene oggi la sua freschezza: di composizione alcolica e appena secca nella formulazione, risulta oggi ingentilita da una lieve craqueleure che ne sottolinea il fascino dell’età.
Misure
Lunghezza del fondo: 753 mm
Lunghezza superiore: 348 mm
Lunghezza centrale: 240 mm (misurata col calibro)
Lunghezza inferiore: 437 mm
Diapason: 400 mm
Crediti: Marco Ricci – Foto Graphia